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L'ARTE DELLA CONTEMPORANEITA'. OVVERO DELLA PSICOLOGIA DELL'ARTE NEL LABORATORIO DELLE IMMAGINI.

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di Irene Battaglini


L'ARTE DELLA CONTEMPORANEITA'. OVVERO DELLA PSICOLOGIA DELL'ARTE NEL LABORATORIO DELLE IMMAGINI. Arteco10
Concept-House, LDI, acqua, acidi e grafica su fotografia digitale

L'arte permette di raggiungere il fondo delle cose, la verità notturna dell'esistenza. Sublimazione di un'individualità condannata a correre verso la propria fine, è perciò un'illusione. Divisa tra profondità e superficie, tra dolore e godimento, ci aiuta a sopportare la Verità, nel senso che essa è un rimedio metafisico alla dimensione tragica dell'esistenza.
FRIEDERICH NIETZSCHE

Le gran point est d'être ému, d'aimer, d'espérer, de frémir, de vivre. Être homme avant d'être artiste.
AUGUSTE RODIN





Arte e Psicologia:
in un campo di studi dichiaratamente transdisciplinare, l'ipotesi di lavoro di questo mio contributo è che si possano utilizzare le immagini in modo diretto, esperienziale ed intuitivo, all'interno di un vero e proprio "laboratorio", per muoverci agilmente tra Arte e Psiche nel regno dell'immaginale1, con la speranza di individuare coincidenze e reciprocità, e nel tentativo di produrre congetture feconde tra le diverse prospettive (neurobiologiche, umanistiche, socioculturali, ... che inevitabilmente entrano in gioco). Adotteremo a strumentazione tecnica le varie concettualizzazioni che stanno alla base dei costrutti cui faremo riferimento, demandando ove possibile alle bibliografie specialistiche, e alle numerose rassegne critiche di studi sulle arti-terapie o della terapia con l'arte, e insieme indagando su quell'insieme di prassi, tecniche e costruzioni epistemologiche che da anni sono oggetto di pubblicazioni, convegni e statuti di scuole di psicologia e agenzie formative in Italia e all'estero.
Il "lavoro" al Laboratorio delle Immagini (LDI)2, è basato su una posizione "esistenziale" di continuo apprendimento, di apertura al dubbio, di confronto con il mondo dell'arte e della psicologia. Non può definirsi a priori "psicoterapico" e neppure si può considerare meramente di "sviluppo delle risorse".
Si assiste frequentemente, alla modalità bipartita di intendere l'intervento psicologico, che se da una parte può essere riferito alla "cura" rispetto al paziente classificato in una nosografia psicopatologica, dall'altra spesso viene "adottato" a sistema di "valorizzazione e riabilitazione" delle risorse sopite nel cittadino-utente della comunità. Questo è perfettamente vero, ma insufficiente, come tutti i tentativi di operazionalizzare il fare psicologico, in quanto la patologia è spesso in rapporto dialettico con le risorse, e nel contempo non si può negare che uomini e donne perfettamente sani abbiano talora scarsità e di risorse creative e di competenze sociali, rischiando lo scivolamento nel versante prima richiamato, quello della psicopatologia.
Proviamo a produrre un'immagine per uscire dall'empasse del pensare dicotomico.

Ci sono stati dati gli strumenti della terapia con l'arte, del gioco della sabbia, la drammatizzazione, la danza, l'argilla, e stanze per la conversazione e il silenzio. Inoltre, a differenza degli artisti, ci è stata data una speciale autorità per usare questi strumenti immaginativi con quelle vittime della civiltà, quelle persone sintomaticamente private dei diritti civili che sono i nostri pazienti.
JAMES HILLMAN


Visualizziamo insieme un luogo poliedrico, surreale, allestito su ponteggi variamente percorribili e imbastito di porte semiaperte con discrezione, che fanno intravvedere stanze ricche di idee e possibilità (compresa la possibilità del silenzio, dell'inazione, dell'astensione), di professionalità e strumenti, stanze in cui trovare conforto e gentilezza, ascolto e accoglienza per le ferite, un luogo ove le "psicopatologie" possono essere ferite nell'accezione di "feritoia" postulata da Carotenuto3, quale «minuscolo varco che ti consente di tenere d'occhio il tuo mondo interiore, di scrutare ed indagare la parte più misteriosa e segreta di te stesso», nel tentativo di oltrepassare la cortina di uno star male medicalizzato, e iniziare a pensare ad una difficoltà per essere scaraventati nel mondo in una solitudine ontologica, derivante da una negazione, che non può dipendere in termini causalistici solo dai vissuti primari, dai traumi subiti, dalle esperienze non elaborate.
La solitudine affettiva non può essere l'interregno tra condizione di normalità e condizione di malattia, in cui collocare le relazioni di aiuto non bene identificabili; la solitudine di cui parliamo è luogo di transizione, sembra essere più vicina ad una zona fluida tra mondo interno e mondo esterno, luogo di raccolta e di perdita di immagini e sogni, di ricordi e riflessioni, di sofferenze e ipotesi di gioia, di nemesi possibili, stoccaggio di rifiuti quanto di beni preziosi, di lacerazioni e rattoppi, dai confini più o meno permeabili somiglianti per funzionamento alla membrana cellulare, che colui che è consapevole del proprio «mondo interiore del trauma»4 riesce meglio a riconoscere come luogo elettivo di domicilio psicologico, poiché sa prima di altri quanto costi all'uomo essere al mondo, «quale sia il prezzo per l'aria»5. Una inquietudine vissuta ed espressa da poeti, letterati, artisti nei secoli e dall'uomo fin dalle origini dell'arte arcaica. Se si pensa alla immagine di questo non-luogo qual è la fabbrica interna di produzione, il regno immaginale, non è difficile potersi riferire al Losfeld di Enrico Borla e Ennio Foppiani6.
Possedere una zona dove illusioni e realtà hanno ampie correlazioni, non ci dà motivo di credere che a questa siano ascrivibili i danni psichici, semmai possiamo affermare con maggiore tranquillità che questa zona ci dà accesso, regolamentato e sensibile, anche gli archivi più vecchi delle memorie.
Graziella Magherini, nel suo "Modello della fruizione artistica"7, fa riferimento in modo esplicito a Donald Winnicott8 e alla psicologia dello sviluppo, con una rassicurante lettura della zona "fluida": «La madre, all'inizio, con un adattamento quasi del cento per cento, fornisce al bambino l'opportunità di una illusione che il suo seno sia parte del bambino. [...] Il compito attuale della madre è disilludere gradualmente il bambino, ma essa non ha speranze di riuscire a meno che non sia stata capace da principio di fornire sufficientemente opportunità di illusione. [...] La madre pone il seno proprio là dove il bambino è pronto a crearlo. Dalla nascita, pertanto, l'essere umano è occupato nel problema del rapporto tra ciò che è percepito e ciò che è concepito soggettivamente. [...]
L'area intermedia cui mi riferisco è l'area che è consentita al bambino tra la creatività primaria e la percezione oggettiva basata sulla prova di realtà». [...]
Non si tratta di un mondo freddo, inanimato ed estraneo; il bambino sente quel mondo che lo circonda come una sua creazione: ma non del tutto, perché egli comincia ad avvertire che c'è un fondo oggettivo negli oggetti; il fatto che la madre sia stata capace di conoscere i suoi bisogni fino «al punto di offrirgli qualcosa più o meno al posto giusto [...] crea nel bambino la capacità di utilizzare le illusioni, senza la quale nessun contatto è possibile tra psiche e ambiente». Si avvia un processo di simbolizzazione, per cui il mondo diviene emotivamente – esteticamente significativo, in quanto in esso il bambino mette parti del proprio mondo interno e degli oggetti per lui primariamente significativi. ...
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