Il contributo di Erich Fromm al tema della pace.
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Il contributo di Erich Fromm al tema della pace.
"Psicologia e pace: un'analisi storico-teorica" - di Nicola Di Battista
Di seguito riporto l'introduzione e il paragrafo che dedicai a Erich Fromm nella mia tesi di laurea triennale "Psicologia e pace: un'analisi storico-teorica", tesi di laurea risalente al 2008. Succesivamente inseriremo gli altri autori...
LA PSICOANALISI
INTRODUZIONE
Lo studio dell’aggressività umana ha da sempre attraversato la ricerca psicoanalitica, essendo strettamente connesso con quello dello sviluppo psichico e dei sintomi nevrotici. Le due pulsioni, libidica e aggressiva, dipingono lo sfondo della teoria pulsionale e intrecciano le vicende della crescita secondo complesse dinamiche su cui la letteratura si è in vario tempo soffermata.
La libido e la destrudo, l’istinto di vita e l’istinto di morte, Eros e Thanatos, rappresentano, nel pensiero psicoanalitico, non solo freudiano, i poli dialettici del processo vitale attraverso cui viene a snodarsi buona parte della vita psichica, a sua volta variamente articolata tra un conscio e un inconscio in delicata osmosi. In particolare la singolarità del fenomeno guerra sembra consistere in una radicale diversità nella strutturazione dei rapporti tra le istanze psichiche: Es, Io e Super Io.
L’indagine psicoanalitica sulla guerra si rivolse nel suo insieme come un tentativo di riduzione del fenomeno guerra al soggetto e ad ogni soggetto in prima persona.
La psicoanalisi analizzò i temi relativi alla distruttività in relazione ai fenomeni della guerra e della pace, alle istanze pulsionali che spingono l’uomo a commettere atrocità contro i suoi simili, attraverso gli psicoanalisti che di seguito saranno citati.
La libido e la destrudo, l’istinto di vita e l’istinto di morte, Eros e Thanatos, rappresentano, nel pensiero psicoanalitico, non solo freudiano, i poli dialettici del processo vitale attraverso cui viene a snodarsi buona parte della vita psichica, a sua volta variamente articolata tra un conscio e un inconscio in delicata osmosi. In particolare la singolarità del fenomeno guerra sembra consistere in una radicale diversità nella strutturazione dei rapporti tra le istanze psichiche: Es, Io e Super Io.
L’indagine psicoanalitica sulla guerra si rivolse nel suo insieme come un tentativo di riduzione del fenomeno guerra al soggetto e ad ogni soggetto in prima persona.
La psicoanalisi analizzò i temi relativi alla distruttività in relazione ai fenomeni della guerra e della pace, alle istanze pulsionali che spingono l’uomo a commettere atrocità contro i suoi simili, attraverso gli psicoanalisti che di seguito saranno citati.
ERICH FROMM
Sicuramente Erich Fromm ( 1900 – 1980 ) è tra gli psicoanalisti più conosciuti in assoluto e questo è dovuto ai suoi interessanti collegamenti tra i movimenti sociali e la psicologia. Fromm fu un assertore dell’importanza dei fenomeni ambientali sulla formazione psicologica e biologica; lui sosteneva che, pur partendo da un patrimonio biologico uguale, una persona vissuta in una città aperta e comunicativa sarà molto diversa da una persona vissuta in un paesino di montagna in cui i collegamenti e i contatti sono molto difficili. Secondo Fromm le forze ambientali possono trasformare potentemente la costruzione del senso di realtà di chiunque.
Nel suo celebre testo “Anatomia della distruttività umana” (1979), Fromm attraversa un ampio spettro di ipotesi, modelli teorici e risultati della ricerca sperimentale riportati nella letteratura psicologica scientifica sul tema.
Il primo tentativo è quello di confutare le ipotesi innatiste, interpretate come un utile alibi per scoraggiare l’umanità dalla responsabilità delle proprie scelte violente, secondo cui l’annientamento della specie potrebbe addirittura essere interpretato come un destino ineluttabile di un umanità importante. Sia l’approccio neoistintivista e sia quello neocomportamentista, definiti da Fromm “monolitici”, vengono confutati in quanto dogmatici e insufficienti a descrivere la complessità del comportamento umano.
Fromm affermò che, così come esiste una “follia a due”, esiste anche una “follia a milioni”. Il fatto che milioni di individui condividano gli stessi vizi non fa di questi delle virtù e quindi, nel caso, milioni di persone condividano la stessa società e le stesse patologie.
Fromm identifica due aggressività: una benigna, a carattere difensivo, biologicamente adattiva e al servizio della specie, probabilmente anche innata; l’altra maligna ( di cui la crudeltà e la distruttività possono essere intesi come sinonimi ) condizionata dal carattere e specialmente quello del sadismo ( violento impulso al dominio assoluto su di un altro essere umano sensibile ). Tale aggressività maligna è specie – specifica all’uomo e quindi assente in molte altre specie di mammiferi di derivazione non filogenetica e non biologicamente adattiva. La distinzione tra le due forme di aggressività è fondamentale nel pensiero di Fromm. Fromm definisce sana quella società che crea le condizioni per il soddisfacimento di cinque bisogni e sostiene che non si deve parlare di un adattamento dell’uomo alla società, ma del contrario, cioè di una società che si adatta ai bisogni dell’uomo. Una società sana dove sviluppare quelle condizioni che possono promuovere la salute mentale e quindi favorire prospettive, progetti ed obbiettivi, sostenendo la tendenza dell’uomo ad amare i propri simili, anziché creare condizioni di divisione di competizione.
I cinque bisogni fondamentali per l’uomo di cui parla Fromm, oltre ai bisogni fisiologici come la fame, la sete, la riproduzione, sono:
1) il bisogno di relazioni;
2) il bisogno di trascendenza, che consiste nel tentativo costante di elevazione attraverso la propria creatività; questo bisogno può essere rintracciabile anche qualora prenda strada la distruttività;
3) il bisogno di radicamento, di sentirsi appartenente al mondo; in questo Fromm individua i sentimenti di fratellanza e amicizia:
4) il bisogno d’identità che spinge l’uomo ad individuarsi trovando una propria collocazione nella società in cui vive e nel gruppo in cui opera;
5) il bisogno di un sistema di orientamento in cui l’uomo possa trovare i propri riferimenti per riuscire a comprendere il mondo ed integrarsi.
Questi bisogni, secondo Fromm, sono spontanei nell’uomo perché prendono origine dalla sua stessa evoluzione. L’adattamento umano rappresenta quindi il più grande compromesso fra bisogni interni ed esterni.
Secondo Fromm il progresso della civiltà si associa ad un aumento della distruttività ( non il contrario ) e:
“Se l’uomo fosse dotato soltanto dell’aggressione biologicamente adattiva che condivide con i suoi antenati animali, sarebbe un essere relativamente pacifico, in quanto l’uomo è l’unico primate che uccide i membri della propria specie senza motivo, né biologico, né economico, traendone soddisfazione” ( Erich Fromm, 1979 ).
La presenza, quindi, di un’aggressività distruttiva in grado di minacciare l’esistenza della specie si pone come specifico rischio della condizione umana che nel corso dei secoli, sembra aver incrementato il suo potenziale distruttivo, almeno nella società occidentale. Secondo Fromm, infatti:
“La frequenza e l’intensità delle guerre si è accresciuto con lo sviluppo della civiltà tecnologica; è massima con gli stati potenti con un governo forte e minima tra l’uomo primitivo non sottoposto a leaders permanenti e aggiunge, più una civiltà è primitiva, più rare sono le guerre” ( Erich Fromm, 1979 ).
Fromm riprese la teoria pulsionale freudiana e il concetto di “istinto di morte” ma con alcune significative variazioni come la distinzione tra “istinti”, riferibili ad una categoria puramente naturale, e “passioni radicate nel carattere”, relative ad una categoria sociobiologica, storica, tra cui sono comprese le passioni al servizio della vita che quelle che vanno a sostenere le perversioni della crudeltà e che paradossalmente esprime il :
“Rivoltarsi della vita contro se stessa nel tentativo di darsi un senso” ( Erich Fromm, 1979 ).
Un’altra teoria interessante è quello della biofilia e della necrofilia, che analizzò nel suo testo “Anatomia della distruttività umana” ( 1979 ). In questa divisione tra biofilia e necrofilia egli conferma la teoria freudiana secondo cui l’uomo è messo in croce da due pulsioni costanti: quella di vita e quella di morte. In ciascuno di noi le due tendenze coesistono anche se nelle persone più creative i momenti di inutilità e di fallimento ( necrofilia ) sono sporadici e prevalgono invece atteggiamenti di creazione per se e per gli altri. I biofili sono quelli che protendono verso un obbiettivo ed esprimono sempre proggettualità, che è una dimensione – secondo Fromm – irrinunciabile dell’essere umano. Secondo Fromm esistono anche soggetti che amano soltanto la morte e che distruggono gratuitamente tutto ciò che viene loro offerto, proprio perché vedono ovunque nemici da combattere e da annientare. Le passioni per la necrofilia vengono da Fromm riportate al crescente impulso della società tecnologica – cibernetica vero il meccanico, il non umano e il non vivo, sotteso dalla fantasia inconscia e segreta che il dominio sulla natura da parte della macchina rappresenti il segno del proprio progresso.
Risulta interessante come la lettura psicoanalitica del fenomeno aggressività – violenza si intrecci di volta in volta con visioni politiche che possono andare a sostenere o meno il cambiamento sociale; se l’obbiettivo di qualsiasi analisi psicologica sul tema risulta la messa a fuoco dei meccanismi evolutivi che generano facilitazione e resistenza alla progressione della crescita umana, il tema del cambiamento evolutivo dell’ordinamento e delle strutture sociali non può di volta in volta interfacciarsi con tale analisi. Fromm assunse una posizione contro il neocapitalismo del ventesimo secolo che, a differenza di quello precedente, ferocemente competitivo nelle sue modalità di controllo patriarcale, come risulta altrettanto subdolo nelle modalità di manipolazione psicologica e sociale tese a creare un uomo con bisogni illimitati di consumo e fantasie onnipotenti di controllo sulla realtà e sulla natura. D’altra parte, l’analisi socioantropologica che Fromm compie delle società non occidentali, risulta un utile strumento di comprensione delle forme di organizzazione sociale in grado di sostenere o meno una convivenza realmente pacifica.
Fromm ipotizzò condizioni sociali in grado di ridurre la componente di “aggressività difensiva”derivante dalla sperequazione nella distribuzione dei beni; sistemi di produzione, proprietà e consumo da quelli attuali, in grado di garantire una vita dignitosa a tutti i cittadini e di evitare il predominio di un gruppo sugli altri, rappresentano gli obbiettivi di un prevedibile futuro fondato su una reale democrazia. Un tale sistema politico – sociale richiederebbe trasformazioni così radicali ( scomparsa delle classi dominanti, del controllo delle gerarchie sociali, ecc… ) che risulterebbero inevitabilmente modificate di conseguenza tutte le relazioni umane, inevitabilmente improntate all’attivazione di un pensiero critico indipendente e al rispetto delle libertà reciproche: il cambiamento avverrebbe da un orientamento verso il controllo – proprietà – potere ad un orientamento verso – la – verità, dall’avere e accumulare all’essere e condividere.
Un tale cambiamento, secondo Fromm, richiederà una consapevolezza critica e una partecipazione diretta di tutti i cittadini, coscientizzati al proprio ruolo attivo dalla responsabilità verso forme di gestione decentrata della vita democratica.
La differenza di visione da quella freudiana consiste nel fatto che Fromm reputa alternative e non parallele le pulsioni; nel suo libro del 1979 sostiene infatti:
“La distruttività non è parallela, ma alternativa alla biofilia. L’alternativa che si pone ad ogni essere umano è proprio questa: amore per la vita o amore per la morte. L’uomo è biologicamente dotato della capacità di essere biofilo, ma psicologicamente possiede il potenziale necrofilo come soluzione alternativa” ( Erich Fromm, 1979 ).
È comunque fondamento di Fromm quello di individuare la sofferenza dell’uomo soprattutto nel contesto della realtà e dell’organizzazione sociale in cui vive, che crea le condizioni che l’uomo ritiene immutabili. Fromm pensava che la sola analisi non può guarire la persona, se questa ha delle nevrosi che hanno anche a vedere con l’esterno: in pratica, la grande importanza del suo pensiero è di aver messo in luce un punto molto critico delle terapie psicoanalitiche, che è quello di considerare l’uomo del tutto avulso dall’ambiente in cui vive; secondo Fromm l’analisi deve comunque fornire gli strumenti per permettere alla persona di capire dove è annidata la causa della sua sofferenza e i motivi per cui non fa nulla per risolvere la situazione, anche puntando su cambiamenti o interventi nei confronti dell’esterno.
Da Fromm in poi si sono creati due tronconi a livello psicoanalitico: uno che privilegia le dinamiche intrapsichiche e l’altro il mondo inter – relazionale, sociale e politico. Fromm ha avuto il grande pregio di puntare molto sull’uomo: comprese che nessuna dinamica psichica può essere considerata isolata dal contesto in cui l’uomo vive e cerca di realizzarsi.
Nel suo celebre testo “Anatomia della distruttività umana” (1979), Fromm attraversa un ampio spettro di ipotesi, modelli teorici e risultati della ricerca sperimentale riportati nella letteratura psicologica scientifica sul tema.
Il primo tentativo è quello di confutare le ipotesi innatiste, interpretate come un utile alibi per scoraggiare l’umanità dalla responsabilità delle proprie scelte violente, secondo cui l’annientamento della specie potrebbe addirittura essere interpretato come un destino ineluttabile di un umanità importante. Sia l’approccio neoistintivista e sia quello neocomportamentista, definiti da Fromm “monolitici”, vengono confutati in quanto dogmatici e insufficienti a descrivere la complessità del comportamento umano.
Fromm affermò che, così come esiste una “follia a due”, esiste anche una “follia a milioni”. Il fatto che milioni di individui condividano gli stessi vizi non fa di questi delle virtù e quindi, nel caso, milioni di persone condividano la stessa società e le stesse patologie.
Fromm identifica due aggressività: una benigna, a carattere difensivo, biologicamente adattiva e al servizio della specie, probabilmente anche innata; l’altra maligna ( di cui la crudeltà e la distruttività possono essere intesi come sinonimi ) condizionata dal carattere e specialmente quello del sadismo ( violento impulso al dominio assoluto su di un altro essere umano sensibile ). Tale aggressività maligna è specie – specifica all’uomo e quindi assente in molte altre specie di mammiferi di derivazione non filogenetica e non biologicamente adattiva. La distinzione tra le due forme di aggressività è fondamentale nel pensiero di Fromm. Fromm definisce sana quella società che crea le condizioni per il soddisfacimento di cinque bisogni e sostiene che non si deve parlare di un adattamento dell’uomo alla società, ma del contrario, cioè di una società che si adatta ai bisogni dell’uomo. Una società sana dove sviluppare quelle condizioni che possono promuovere la salute mentale e quindi favorire prospettive, progetti ed obbiettivi, sostenendo la tendenza dell’uomo ad amare i propri simili, anziché creare condizioni di divisione di competizione.
I cinque bisogni fondamentali per l’uomo di cui parla Fromm, oltre ai bisogni fisiologici come la fame, la sete, la riproduzione, sono:
1) il bisogno di relazioni;
2) il bisogno di trascendenza, che consiste nel tentativo costante di elevazione attraverso la propria creatività; questo bisogno può essere rintracciabile anche qualora prenda strada la distruttività;
3) il bisogno di radicamento, di sentirsi appartenente al mondo; in questo Fromm individua i sentimenti di fratellanza e amicizia:
4) il bisogno d’identità che spinge l’uomo ad individuarsi trovando una propria collocazione nella società in cui vive e nel gruppo in cui opera;
5) il bisogno di un sistema di orientamento in cui l’uomo possa trovare i propri riferimenti per riuscire a comprendere il mondo ed integrarsi.
Questi bisogni, secondo Fromm, sono spontanei nell’uomo perché prendono origine dalla sua stessa evoluzione. L’adattamento umano rappresenta quindi il più grande compromesso fra bisogni interni ed esterni.
Secondo Fromm il progresso della civiltà si associa ad un aumento della distruttività ( non il contrario ) e:
“Se l’uomo fosse dotato soltanto dell’aggressione biologicamente adattiva che condivide con i suoi antenati animali, sarebbe un essere relativamente pacifico, in quanto l’uomo è l’unico primate che uccide i membri della propria specie senza motivo, né biologico, né economico, traendone soddisfazione” ( Erich Fromm, 1979 ).
La presenza, quindi, di un’aggressività distruttiva in grado di minacciare l’esistenza della specie si pone come specifico rischio della condizione umana che nel corso dei secoli, sembra aver incrementato il suo potenziale distruttivo, almeno nella società occidentale. Secondo Fromm, infatti:
“La frequenza e l’intensità delle guerre si è accresciuto con lo sviluppo della civiltà tecnologica; è massima con gli stati potenti con un governo forte e minima tra l’uomo primitivo non sottoposto a leaders permanenti e aggiunge, più una civiltà è primitiva, più rare sono le guerre” ( Erich Fromm, 1979 ).
Fromm riprese la teoria pulsionale freudiana e il concetto di “istinto di morte” ma con alcune significative variazioni come la distinzione tra “istinti”, riferibili ad una categoria puramente naturale, e “passioni radicate nel carattere”, relative ad una categoria sociobiologica, storica, tra cui sono comprese le passioni al servizio della vita che quelle che vanno a sostenere le perversioni della crudeltà e che paradossalmente esprime il :
“Rivoltarsi della vita contro se stessa nel tentativo di darsi un senso” ( Erich Fromm, 1979 ).
Un’altra teoria interessante è quello della biofilia e della necrofilia, che analizzò nel suo testo “Anatomia della distruttività umana” ( 1979 ). In questa divisione tra biofilia e necrofilia egli conferma la teoria freudiana secondo cui l’uomo è messo in croce da due pulsioni costanti: quella di vita e quella di morte. In ciascuno di noi le due tendenze coesistono anche se nelle persone più creative i momenti di inutilità e di fallimento ( necrofilia ) sono sporadici e prevalgono invece atteggiamenti di creazione per se e per gli altri. I biofili sono quelli che protendono verso un obbiettivo ed esprimono sempre proggettualità, che è una dimensione – secondo Fromm – irrinunciabile dell’essere umano. Secondo Fromm esistono anche soggetti che amano soltanto la morte e che distruggono gratuitamente tutto ciò che viene loro offerto, proprio perché vedono ovunque nemici da combattere e da annientare. Le passioni per la necrofilia vengono da Fromm riportate al crescente impulso della società tecnologica – cibernetica vero il meccanico, il non umano e il non vivo, sotteso dalla fantasia inconscia e segreta che il dominio sulla natura da parte della macchina rappresenti il segno del proprio progresso.
Risulta interessante come la lettura psicoanalitica del fenomeno aggressività – violenza si intrecci di volta in volta con visioni politiche che possono andare a sostenere o meno il cambiamento sociale; se l’obbiettivo di qualsiasi analisi psicologica sul tema risulta la messa a fuoco dei meccanismi evolutivi che generano facilitazione e resistenza alla progressione della crescita umana, il tema del cambiamento evolutivo dell’ordinamento e delle strutture sociali non può di volta in volta interfacciarsi con tale analisi. Fromm assunse una posizione contro il neocapitalismo del ventesimo secolo che, a differenza di quello precedente, ferocemente competitivo nelle sue modalità di controllo patriarcale, come risulta altrettanto subdolo nelle modalità di manipolazione psicologica e sociale tese a creare un uomo con bisogni illimitati di consumo e fantasie onnipotenti di controllo sulla realtà e sulla natura. D’altra parte, l’analisi socioantropologica che Fromm compie delle società non occidentali, risulta un utile strumento di comprensione delle forme di organizzazione sociale in grado di sostenere o meno una convivenza realmente pacifica.
Fromm ipotizzò condizioni sociali in grado di ridurre la componente di “aggressività difensiva”derivante dalla sperequazione nella distribuzione dei beni; sistemi di produzione, proprietà e consumo da quelli attuali, in grado di garantire una vita dignitosa a tutti i cittadini e di evitare il predominio di un gruppo sugli altri, rappresentano gli obbiettivi di un prevedibile futuro fondato su una reale democrazia. Un tale sistema politico – sociale richiederebbe trasformazioni così radicali ( scomparsa delle classi dominanti, del controllo delle gerarchie sociali, ecc… ) che risulterebbero inevitabilmente modificate di conseguenza tutte le relazioni umane, inevitabilmente improntate all’attivazione di un pensiero critico indipendente e al rispetto delle libertà reciproche: il cambiamento avverrebbe da un orientamento verso il controllo – proprietà – potere ad un orientamento verso – la – verità, dall’avere e accumulare all’essere e condividere.
Un tale cambiamento, secondo Fromm, richiederà una consapevolezza critica e una partecipazione diretta di tutti i cittadini, coscientizzati al proprio ruolo attivo dalla responsabilità verso forme di gestione decentrata della vita democratica.
La differenza di visione da quella freudiana consiste nel fatto che Fromm reputa alternative e non parallele le pulsioni; nel suo libro del 1979 sostiene infatti:
“La distruttività non è parallela, ma alternativa alla biofilia. L’alternativa che si pone ad ogni essere umano è proprio questa: amore per la vita o amore per la morte. L’uomo è biologicamente dotato della capacità di essere biofilo, ma psicologicamente possiede il potenziale necrofilo come soluzione alternativa” ( Erich Fromm, 1979 ).
È comunque fondamento di Fromm quello di individuare la sofferenza dell’uomo soprattutto nel contesto della realtà e dell’organizzazione sociale in cui vive, che crea le condizioni che l’uomo ritiene immutabili. Fromm pensava che la sola analisi non può guarire la persona, se questa ha delle nevrosi che hanno anche a vedere con l’esterno: in pratica, la grande importanza del suo pensiero è di aver messo in luce un punto molto critico delle terapie psicoanalitiche, che è quello di considerare l’uomo del tutto avulso dall’ambiente in cui vive; secondo Fromm l’analisi deve comunque fornire gli strumenti per permettere alla persona di capire dove è annidata la causa della sua sofferenza e i motivi per cui non fa nulla per risolvere la situazione, anche puntando su cambiamenti o interventi nei confronti dell’esterno.
Da Fromm in poi si sono creati due tronconi a livello psicoanalitico: uno che privilegia le dinamiche intrapsichiche e l’altro il mondo inter – relazionale, sociale e politico. Fromm ha avuto il grande pregio di puntare molto sull’uomo: comprese che nessuna dinamica psichica può essere considerata isolata dal contesto in cui l’uomo vive e cerca di realizzarsi.
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