I manicomi prima, durante e dopo la Legge 180/78, abstract
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I manicomi prima, durante e dopo la Legge 180/78, abstract
Abstract dell'articolo:
I manicomi prima, durante e dopo la Legge 180/78
di Sandra Vannucchi e Andrea Beretta
in uscita sul prossimo numero di Psicoanalisi Neofreudiana (Giugno 2012)
Il manicomio, o morotrofio, o asilo era programmato come luogo alternativo a un mondo esterno travagliato e sconvolto e pensato come una cittadella ideale, in cui il direttore non era solo medico ma aveva tutti i poteri possibili, fisici e morali. Nel 1881 per la prima volta il governo si occupò di alienati e di manicomi. Tra il 1887 e il 1900 la politica manicomiale diventò sostanziale per il governo come ogni dispositivo di repressione. I manicomi erano concepiti come “ambulanze di feriti sociali” e non solo se ne moltiplicò il numero, ma se ne aumentò in modo impressionante la popolazione, sino a mettere in pericolo i bilanci delle provincie. Si potevano avere le prime avvisaglie di depressione, di presunta schizofrenia o semplicemente essere accusati di fare professione di anarchia per essere rinchiusi in manicomio. All'interno esistevano pochi lavandini e bagni rispetto al numero di degenti, morirono decine di migliaia di uomini e donne, che non videro mai più un cielo senza sbarre.
Nel manicomio c’erano cancelli, inferriate, porte e finestre sempre chiuse; catene, lucchetti e serrature ovunque. Le terapie più comuni erano la segregazione nei letti di contenzione, la camicia di forza, il bagno freddo, l’elettroshock e la lobotomia". Un malato di mente entra in manicomio come "persona" per diventare una "cosa".
In particolare nell’ Ospedale di Volterra negli anni '70 c’erano circa 2500 ricoverati, in gran parte poveri insufficienti mentali, dementi, persone affette da trisomia 21, un certo numero di adolescenti e circa 300 matti veri e propri. Sia i pazienti che i parenti non avevano, assolutamente, voce in capitolo né tanto meno diritto di intervento. Non poche erano le ricoverate internate per condotta amorale (prostitute) o gli etilisti per i quali vigeva una sezione apposita.
In tal contesto si deve leggere la legge 180/1978 di Franco Basaglia che ha introdotto in Italia una “rivoluzione” nel campo della salute mentale perché:
1. ha disposto la chiusura dei manicomi;
2. ha sancito che di norma i trattamenti per malattia mentale sono volontari, limitandone l’obbligatorietà a poche e definite situazioni;
3. ha statuito che: “gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presidi extraospedalieri ”.
Da qui i primi due punti sono stati rispettati (chiusura di manicomi e trattamenti sanitari obbligatori, su cui è ancora in atto un’accesa discussione).
Il problema nasce sul terzo punto: la territorializzazione dell’assistenza psichiatrica che non ha trovato nella legislazione ordinaria e soprattutto nelle pratiche quotidiane un percorso e un radicamento applicativo adeguato. Di fatto a tutt’oggi gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali attuati di norma dai servizi e presidi extraospedalieri non hanno una cornice di principi generali chiari, forti e condivisi per orientarne l’operatività e non sono sufficientemente definiti sotto il profilo del chi fa che cosa, dove e quando.
Questo non è però da imputare alla legge Basaglia, ma a leggi attuative successive, che in 34 anni di storia non sono mai state fatte! La legge 180 è un atto di grande valore etico e politico a cui dobbiamo la chiusura di luoghi dove centinaia di migliaia di cittadini italiani malati di mente hanno incontrato la violenza della reclusione in assenza di ogni cura degna di questo nome.
Ad oggi chi si occupa di queste persone sono: strutture ASL, strutture residenziali o semi residenziali che mirano all’autonomia, ospedali psichiatrici simili a manicomi e OPG, che si possono definire come una fusione di manicomi e carceri dove si ritrovano “pazienti legati ai letti, celle sovraffollate, ambienti sporchi, spazi fatiscenti, nessuna privacy. Impossibilità per i ricoverati-reclusi di essere curati per malattie anche gravi, come il diabete. E soprattutto il peccato capitale: l'incapacità di garantire quelle cure psichiatriche al centro di un percorso di riabilitazione, la ragione per cui esistono queste strutture” (L’Espresso, 2010).
Attualmente la proposta di legge 181 cerca di definire in maniera chiara quel famoso terzo punto sulla territorializzazione, e in particolare sul chi fa cosa, come e quando, cercando di colmare quel vuoto normativo che crea una zona d’ombra all’interno dell’attuazione di una norma che in altre nazione del mondo è stata utilizzata per migliorare effettivamente la qualità della vita dei cosiddetti “pazzi”.
Nel manicomio c’erano cancelli, inferriate, porte e finestre sempre chiuse; catene, lucchetti e serrature ovunque. Le terapie più comuni erano la segregazione nei letti di contenzione, la camicia di forza, il bagno freddo, l’elettroshock e la lobotomia". Un malato di mente entra in manicomio come "persona" per diventare una "cosa".
In particolare nell’ Ospedale di Volterra negli anni '70 c’erano circa 2500 ricoverati, in gran parte poveri insufficienti mentali, dementi, persone affette da trisomia 21, un certo numero di adolescenti e circa 300 matti veri e propri. Sia i pazienti che i parenti non avevano, assolutamente, voce in capitolo né tanto meno diritto di intervento. Non poche erano le ricoverate internate per condotta amorale (prostitute) o gli etilisti per i quali vigeva una sezione apposita.
In tal contesto si deve leggere la legge 180/1978 di Franco Basaglia che ha introdotto in Italia una “rivoluzione” nel campo della salute mentale perché:
1. ha disposto la chiusura dei manicomi;
2. ha sancito che di norma i trattamenti per malattia mentale sono volontari, limitandone l’obbligatorietà a poche e definite situazioni;
3. ha statuito che: “gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presidi extraospedalieri ”.
Da qui i primi due punti sono stati rispettati (chiusura di manicomi e trattamenti sanitari obbligatori, su cui è ancora in atto un’accesa discussione).
Il problema nasce sul terzo punto: la territorializzazione dell’assistenza psichiatrica che non ha trovato nella legislazione ordinaria e soprattutto nelle pratiche quotidiane un percorso e un radicamento applicativo adeguato. Di fatto a tutt’oggi gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali attuati di norma dai servizi e presidi extraospedalieri non hanno una cornice di principi generali chiari, forti e condivisi per orientarne l’operatività e non sono sufficientemente definiti sotto il profilo del chi fa che cosa, dove e quando.
Questo non è però da imputare alla legge Basaglia, ma a leggi attuative successive, che in 34 anni di storia non sono mai state fatte! La legge 180 è un atto di grande valore etico e politico a cui dobbiamo la chiusura di luoghi dove centinaia di migliaia di cittadini italiani malati di mente hanno incontrato la violenza della reclusione in assenza di ogni cura degna di questo nome.
Ad oggi chi si occupa di queste persone sono: strutture ASL, strutture residenziali o semi residenziali che mirano all’autonomia, ospedali psichiatrici simili a manicomi e OPG, che si possono definire come una fusione di manicomi e carceri dove si ritrovano “pazienti legati ai letti, celle sovraffollate, ambienti sporchi, spazi fatiscenti, nessuna privacy. Impossibilità per i ricoverati-reclusi di essere curati per malattie anche gravi, come il diabete. E soprattutto il peccato capitale: l'incapacità di garantire quelle cure psichiatriche al centro di un percorso di riabilitazione, la ragione per cui esistono queste strutture” (L’Espresso, 2010).
Attualmente la proposta di legge 181 cerca di definire in maniera chiara quel famoso terzo punto sulla territorializzazione, e in particolare sul chi fa cosa, come e quando, cercando di colmare quel vuoto normativo che crea una zona d’ombra all’interno dell’attuazione di una norma che in altre nazione del mondo è stata utilizzata per migliorare effettivamente la qualità della vita dei cosiddetti “pazzi”.
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